Se andiamo avanti così, il futuro dei giovani speaker sarà martoriato da un cielo plumbeo. Lo scenario è abbastanza complesso e intricato, figlio anche dei tempi contemporanei in cui l’evoluzione culturale e artistica sta portando ogni imprenditore ad adeguarsi passivamente alla massa, e quindi a non rischiare. Questa dinamica coinvolge diversi attori, che ormai hanno cambiato notevolmente l’approccio nei confronti dell’offerta di consumo.
Qual è lo scenario attuale?
Come ben sappiamo, rispetto al passato, la radio ha acquisito maggiore immagine. Tra social network e web tv, ormai la voce al microfono è sempre più facilmente associabile a un volto. In parte, questa flessione era già stata anticipata da un’opinabile desiderio di investire sui personaggi televisivi puri rispetto a quelli radiofonici. Perché? Per stimoli di marketing – spesso scivolati in scarsi risultati. Un processo che, nella nuova contemporaneità, investe come una macchina in corsa anche le web star.
Prendiamo in esame due fatti. Il primo riguardante RDS Next, la “social radio” per millenial e Generazione Z, che vedrà principalmente gli youtuber davanti al microfono. Il secondo, che invece coinvolge la televisione, riporta che R101 darà la possibilità ai concorrenti di “Amici” di condurre un programma radiofonico. Insomma, due delle aziende più importanti del panorama nazionale daranno ufficialmente spazio a persone che, molto probabilmente, non hanno studiato o non si sono formate per fare questo determinato lavoro. Novità di consumo che creano nuovi ostacoli per i giovani speaker, che vedono incrementare il numero di dossi lungo il percorso che li dovrebbe portare a realizzare il proprio sogno.
La radio non è seconda a nessuno
In una recente intervista a Marco Baldini, si parlava proprio di un contesto italiano aberrante, a causa di un processo culturale che pensa alla radio come seconda a qualsiasi mezzo di comunicazione, e dunque abbordabile da chiunque non abbia mai provato questo mestiere. Sostanzialmente, con l’evoluzione dei contenuti web, la solfa non sembra cambiata: adesso non si pesca più solo dal piccolo schermo, ma si va direttamente da quello ancora più piccolo, il web. Si guarda ai like, alle ricerche organiche, alle condivisioni, ai commenti. Insomma, si tenta l’usato sicuro. Un usato sicuro, però, che concerne le dinamiche dell’online e non quelle radiofoniche. Ne sanno qualcosa quelli di Radio Deejay con Willwoosh.
Ormai il prototipo dello speaker ha assunto una nuova caratterizzazione: se hai già un seguito tutto tuo e hai un’ampia cassa di risonanza, vai benissimo per la nostra azienda – anche se non hai mai approcciato a un microfono o non sai cos’è un clock. Un prototipo, tuttavia, che cozza malissimo con i modelli del passato, grazie ai quali abbiamo imparato ad ascoltare gente carismatica che, oggi, non trova concorrenza tra i giovani speaker, non solo per meriti personali, ma per scelte aziendali che non compiono un’intensa attività di scouting.
C’è paura di rischiare sui giovani speaker
Dunque non si rischia. In questo caso, non si rischia su un capitale umano rilevante: cioè, i giovani speaker, chi si affida a una web radio e/o a dei corsi professionali per imparare il mestiere, ampliare le proprie skill e realizzare il proposito di lavorare nell’ambiente radiofonico. Durante una nostra chiacchierata, lo stesso Dino Brown aveva sollevato una questione importante: chi saranno gli speaker del 2040? La risposta sembra abbastanza scontata: surrogati di altri medium.
Bisogna ricordare che lavorare al microfono di un’emittente non è semplicemente un gioco, ma un lavoro. E, come tale, andrebbe portato avanti (oltre che dai talenti) da chi studia e si allena con costanza, capacità e abnegazione. Tuttavia, il contesto attuale sembra incline a favorire chi ha già un’immagine o un nome noto.
E questo comporta un duplice esito negativo. Da una parte, un pubblico radiofonico che non si affeziona alla radio, ma solo a un determinato programma perché c’è il suo beniamino social. Dall’altra, la rassegnazione di un capitale umano che comincia a sentirsi inadeguato per un contesto che, purtroppo, tende a non valorizzarlo come dovrebbe.
Articolo a cura di Angelo Andrea Vegliante
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