La nostra nuova provocazione sulla radio italiana è servita: e se le aziende non riescono a evolvere rispetto alla situazione attuale perché ci sono troppe figure, tra direttori artistici e conduttori, che tentano di rilanciare il settore affidandosi unicamente a quanto fatto nel passato? Approfondiamo questa tesi.
Perché puntiamo il dito contro gli esperti della radio italiana?
Partiamo da un presupposto: la nostra disamina non intende assoggettare i problemi della radio italiana a chi ha più esperienza, ma punta ad alzare un dibattito. Più volte abbiamo sottolineato due principi: da una parte chi ha più esperienza deve essere prima di tutto un leader, e non un semplice capo; dall’altro, sarebbe necessaria una figura di raccordo tra i giovani conduttori e la radio, al fine di scoprire nuovi talenti che non vadano necessariamente a essere pescati dal calderone degli influencer.
Tuttavia sembra che uno dei problemi generali sia dato dal fatto che chi ha più esperienza non vuole fare il passo più lungo della gamba, evolversi e rischiare. Ormai l’universo radiofonico ha meccanismi e regole consolidati negli ultimi 40 anni, disposizioni che sono divenute così fisse da essere considerate inossidabili – nonostante il mondo fuori dallo studio cambi alla velocità della luce -, ancorando la radio a logiche e sistemi che oggi non hanno gli stessi effetti ottenuti diversi decenni fa.
L’esempio più banale a cui possiamo appellarci è lo stile di alcuni conduttori radiofonici con una lunga carriera alle spalle, che spesso criticano un genere musicale in voga tra i giovanissimi: come se un certo genere musicale andasse criticato per partito preso, poiché apprezzato dal nuovo che avanza. Un altro trend a supporto della nostra tesi è nell’incessante (quanto snervante) modo di fare di alcune radio locali, che invece di creare programmi o linee editoriali originali puntano sull’usato sicuro, andando a “scimmiottare” ciò che fanno le radio nazionali, non ottenendo roboanti risultati.
Presumiamo dunque che l’evoluzione della radio sia lenta e faticosa perché c’è un sentiment generale di chi preferisce restare ancorato a sistemi e valori che conosce a menadito, che appartengono al passato e sono chiari come il sole: rischiare o conoscere qualcosa di nuovo, dopo tutto il tempo passato ad accumulare esperienza, risulta faticoso e potrebbe minare le certezze fin qui avute.
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Influencer in radio: la scommessa persa delle radio italiane
In passato lo abbiamo affermato più volte: al momento è difficile dire se gli influencer abbiano dato una spinta importante alla radio italiana. Non conosciamo dati che possano confermare o meno questa visione, tuttavia sta di fatto che i grandi nomi di questo settore lavorativo continuano a essere sempre gli stessi, e non provengono dai social media.
Eppure, se da una parte la critica mossa ai i giovani è il poco carattere e la bassa identità, dall’altra c’è da ammettere che chi ha più esperienza tende spesso a recintare le nuove leve in altre realtà, dove magari può farsi le ossa ma senza quelle garanzie necessarie a portarle avanti nel lungo periodo: pensiamo ad esempio alle web radio (la cui regolamentazione in Italia non è estremamente chiara) e alle radio locali, dove spesso i guadagni sono nulli o irrisori, e il rischio è di non riuscire mai a farsi notare come si vorrebbe.
Un vecchio adagio però direbbe che è giusto e sacrosanto farsi inizialmente le ossa senza ricevere compensi, perché così è accaduto in passato. Come a dire: se nel 1980 ho fatto la gavetta non pagato, non vedo perché oggi dovrebbe essere diversamente. Questo modus operandi conferma l’impossibilità di evolvere il contesto attuale, dove rendere un contesto lavorativo più accessibile e sostenibile per i giovani potrebbe garantire l’emersione di nuove personalità e nuovi talenti che consentirebbero alla stessa azienda di evolvere.
Invece oggi, pensando che i numeri registrati su un altro medium siano la prova provata di un talento, si decide semplicemente di trasportare una persona da una piattaforma all’altra, prendendo personalità che magari con la radio non hanno neanche avuto mai a che fare – e dimenticando però che follower e ascolti radiofonici non sono la stessa cosa. Per fare un esempio storico, la radio è sempre stata considerata la sorella minore della televisione, eppure sono più le persone che hanno avuto successo passando dalla radio alla televisione invece che l’inverso.
Un esempio più attuale? Il tiktoker Khaby Lame ha dimostrato di saper raggiungere il mondo intero con estrema semplicità e un gesto facile da ricordare. In base ai suoi numeri dunque potrebbe essere un conduttore radiofonico adatto ai tempi che viviamo. Al momento però è difficile saperlo: da un lato non conosciamo il suo background radiofonico; dall’altro ciò che lo ha reso famoso è qualcosa di incompatibile con la radio. Eppure in base alle logiche attuali Lame potrebbe fare al caso della radio italiana.
Forse, e diciamo forse, sarebbe bene spendere il proprio tempo a coltivare i talenti (prettamente radiofonici) come in una sorta di cantera calcistica, invece che pescarli solo dopo la fama ottenuta. Chissà, magari in questo modo la tua radio passerà alla storia – anche per aver ridefinito i costrutti radiofonici esistenti. Così facendo, avrai fatto scuola (e anche esperienza).
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