Radio lovers

La radio italiana non evolve (e la colpa è della radio italiana)

today9 Ottobre 2023

Sfondo

La radio italiana è un posto molto conservatore“. Queste 8 parole le ha pronunciate Giuseppe Cruciani in una puntata del podcast Passa dal BSMT, parlando dell’incapacità dell’universo radiofonico di osare e creare nuovi formati di intrattenimento. Cruciani non è uno degli ultimi arrivati, il suo curriculum parla per lui, tant’è che è uno dei pochissimi conduttori radiofonici capace di rendere la parolaccia una forma d’arte. E forse è anche grazie a questa consapevolezza maturata in tanti anni di carriera che la sua opinione sullo stato di salute della radiofonia italiana appare solida e molto condivisibile.

“C’è stato questo cambio di passo: le radio che un tempo erano rivoluzionarie, che un tempo erano il posto dove venivano inventati nuovi linguaggi, erano l’innovazione; oggi per paradosso la televisione a livello di format, di talk, osa molto di più della radio. In radio oggettivamente negli ultimi 10-15 anni non si è prodotto praticamente nulla. Perché gli editori si sono accontentati di un tran-tran e non osano, non sopportano la libertà dei conduttori, puntano sul brand e non gliene frega più niente in generale di accogliere prodotti nuovi. Hanno paura della potenza di un brand, perché pensano che quel brand personale possa soverchiare il loro brand. E dunque hanno puntato più sul brand generale della radio che sul brand del singolo artista”. Proviamo ad analizzare questo discorso.

La radio italiana non vuole più investire su contenuti nuovi

I concetti esposti da Giuseppe Cruciani non sono così eretici. Anzi, se vi sembrano fuori dalla realtà, probabilmente siete l’eccezione che conferma la regola. Al di là dei dibattiti sugli ascolti o sulla riconoscibilità di un marchio, le parole profuse al podcast di Gianluca Gazzoli sono la cartina tornasole di un quadro radiofonico desolante sotto l’aspetto della creatività: dagli anni 2010 in poi, l’impostazione della radio italiana è profondamente mutata: nella maggioranza dei casi non si vuole sperimentare su nuovi contenuti, o perlomeno nessuno ci prova neanche per il gusto di vantarsene. Adesso il leitmotiv generale sembra una maratona infinita in cui ognuno investe sull’usato sicuro, sia che si tratti di una voce sia che si guardi a un format.

Cruciani ha ragione da vendere nell’affermare che attualmente l’innovazione non fa parte della radio italiana. Senza togliere niente a nessuno (e rammentando che si tratta di un discorso generale), oggi le nuove voci sono regalate ad assumere il ruolo di composti e bravi scolari, capaci nella tecnica, nella dizione e nell’impostazione vocale, ma restano comunque dietro una coltre nebbia di irriconoscibilità per il pubblico, in quanto la personalità viene completamente annichilita. Certo, magari gli addetti ai lavori sanno con chi hanno a che fare, ma agli ascoltatori moderni – soprattutto delle radio di programmi – manca un nuovo leader da seguire.

La radio italiana ha paura

Com’è potuto accadere tutto ciò? Il conduttore romano elenca i fattori scatenanti che hanno creato questa desolazione creativa. In primis, “gli editori si sono accontentati di un tran-tran e non osano”. Un riscontro oggettivo lo possiamo trovare nella realtà, ma dobbiamo fare qualche passo indietro di alcuni anni, quando le radio hanno iniziato ad accogliere youtuber e influencer nei loro studi: gente capace nella comunicazione online, meno in quella radiofonica, senza passare dal via.

Come abbiamo analizzato ed espresso più volte, a un certo punto la radio ha cercato l’usato sicuro e garantito (ma di altri mondi e modelli comunicativi) per mantenersi in una certa posizione e tentare di non andare mai in perdita: una vera e propria utopia. L’esperimento è comunque fallito, sia se l’obiettivo era rubare ascoltatori alla nicchia dell’influencer di turno, sia per aver pensato di dare creatività al mezzo basandosi sul numero di follower e visualizzazioni – tra l’altro parametri che non descrivono minimamente la capacità o meno di un personaggio di stare davanti al microfono.

Negli anni ciò ha prodotto una vera e propria guerra tra poveri tra le nuove leve radiofoniche, compresse tra loro alla ricerca di un micro-spazio non più disponibile, e l’incapacità dell’azienda radiofonica di consegnare qualcosa di originale ai propri ascoltatori, complicando ancora di più la possibilità di attarne di nuovi.

Leggi anche: “Ho 30 anni e una grande paura a fare podcast”

La radio non investe seriamente sulle proprie voci

“Non sopportano la libertà dei conduttori, puntano sul brand e non gliene frega più niente in generale di accogliere prodotti nuovi”. Qui vengono mischiati diversi concetti, ma è comunque un dato oggettivo: a meno che tu non sia un influencer chiamato a parlare in una radio di programmi, difficilmente troverai editori con la volontà di investire seriamente in nuove leve. E ciò ne va a a spese della creatività e di una possibile evoluzione della propria azienda.

Molti giovani conduttori vengono relegati a orari pressocché complicati per realizzarsi, finendo per saltare da un’emittente all’altra senza poter avere fasce orarie diverse. Oltretutto, tenendo le radio di flusso fuori da questo discorso, spesso al nuovo che avanza viene assegnato il ruolo di comprimario con compiti semplici e all’interno di un perimetro ben organizzato: ovvio, i primi tempi è giusto che sia così, ma a un certo punto quel talento verde va lanciato in una dimensione più ampia. Altrimenti perché quella voce lì? Perché assumerla nella propria azienda se poi non ci sono margini di crescita professionali?

In questo modo, anche la scelta di una voce diventa uno spartiacque per chi decide di intraprendere questo mestiere: oggi sembra che alle radio non interessi più il format unico, originale e rischioso (a meno che non porti con te uno sponsor con un cospicuo investimento), ma è necessario il lavoratore in grado di fare il compitino e nulla più. Un vero e proprio taglio netto alle possibilità creative, che per un’azienda come quella radiofonica è come soffocare una persona con un cuscino. E lentamente il corso del tempo ha dato la sua risposta: da più di 30 anni le voci più illustri sono sempre le stesse, con qualche outsider che però ha sviluppato la propria personalità in determinate nicchie, primo su tutti quello dei podcast, senza mai esplodere davvero con il mezzo radiofonico, tanto appunto da determinare una vera e propria evoluzione per l’universo podcasting, con la radio ferma a guardare.

La radio non dà possibilità alla nuova concorrenza

“Hanno paura della potenza di un brand, perché pensano che quel brand personale possa soverchiare il loro brand”. Una frase da leggere con attenzione, perché storicamente parlando la radio è sempre stata capace di attrarre ascoltatori proprio grazie alla potenza dei conduttori radiofonici: basterebbe aprire qualsiasi libro di storia per scoprire come l’evoluzione moderna della radio sia stata resa tangibile anche grazie a voci che gli ascoltatori hanno sempre ben identificato, ma che ancora oggi restano ancorate al microfono perché non viene data possibilità alla nuova concorrenza – che è diverso dall’affermare che la concorrenza non esiste.

Nel podcast Tintoria, parlando di un possibile ricambio dei conduttori televisivi, Alessandro Cattelan afferma che il nodo centrale è un altro: “Non c’è tanto ricambio dal punto di vista dei programmi. Finché i programmi sono quelli lì, finché non si sperimentano nuovi tipi di programma, è difficile inserire nuovi conduttori”. Un concetto che può sposarsi benissimo con le parole di Giuseppe Cruciani: non è vero che oggi non ci sono nuove leve che potrebbero sancire un’evoluzione, ma non viene data loro la possibilità, e dunque da una parte si va verso l’usato sicuro di chi ha una carriera molto lunga, dall’altra si chiamano gli influencer per far finta di investire sul nuovo che avanza.

Ed forse la morte creativa della radio è proprio qui, che pensa più a investire sul numero di like e condivisioni rispetto che al contenuto in sé, rispetto alla personalità che può emergere grazie a un contenuto originale e accattivante. Un doppio filo rosso che comunque permette al brand radiofonico di rimanere intatto, trattando gli influencer come ospiti e assicurandosi voci noti nella propria emittente che danno comunque il consueto prestigio storico al marchio, senza nasconderlo. Solo che così facendo la radio italiana resta ferma e immobile, come un cadavere.

Leggi anche: Un’idea chiamata “talent scout radiofonico”

Scritto da: Angelo Andrea Vegliante

Articolo precedente

tutto bene a 105

Radio lovers

Due grandi novità in casa 105

Domenica 24 settembre si è concluso "Tutto Bene a 105" Sono stati propri i due conduttori, Alessandro Sansone ed Annie Mazzola, a darne l'annuncio. Se per Sansone si prospettano novità in arrivo ad ottobre, però, per Mazzola invece questo è stato un saluto definitivo, come ha scritto nel suo ultimo post Instagram."Ciao Radio 105", dice, "dopo 5 anni insieme ti saluto e lo faccio con lo stesso sorriso con cui sono andata in diretta, dalla […]

today29 Settembre 2023

P. IVA 13503901004

P. IVA 13503901004

0%