Ho 30 anni e lo ammetto: ho timore di iniziare un podcast. O meglio, ho paura che potrebbe non andare bene, di non raccogliere i frutti che vorrei maturare, di scoprire che la mia idea non piace a nessuno. Frasi più comuni di quanto possiamo pensare, e riguarda tanti ambiti della vita: studio, progetti, lavoro, famiglia. Ma hanno tutte un minimo comun denominatore: l’ansia e la paura di non essere all’altezza, di chiedersi se questa società è pronta a scommettere ancora sui 30enni. Concetti divenuti terribilmente condivisibili nell’attualità.
È un pensiero surreale, forse, quello di credere che a 30 anni nulla possa cambiare, che nuovi progetti non possano arrivare. Eppure oggi viviamo in un contesto che impone una velocità disarmante nella realizzazione di sé e delle proprie idee: in giovane età ci sono realtà che si aspettano già che tu abbia un prodotto, un format o un’idea da milioni di visualizzazioni, senza magari guardare al contenuto o senza avere la pazienza necessaria di vedere se quel contenuto può evolvere.
Ma già in giovane età ci sono molte persone che si guardano indietro nel passato cercando una risposta certa a un’unica domanda: ma avrò creato qualcosa? Ed è una dinamica piuttosto irrealistica, soprattutto a quest’età. Da quando in qua siamo arrivati al punto di chiedere a un ventenne di realizzare il progetto della vita? Da quando in qua abbiamo cominciato a vedere i numeri delle visualizzazioni invece che gli ideali? Da quando in qua solo il profitto del numero online è considerato di valore rispetto al contenuto vero e proprio?
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Quell’insicurezza di realizzare un podcast che mangia una generazione
Ma cosa c’entra tutto questo discorso con i podcast? I macro-contesti influenzano i piccoli spazi, molto più di quanto supponiamo. Viviamo tempi in cui regna la sfiducia e la paura per il futuro, il timore per un domani che non sappiamo come sarà, l’ansia delle aspettative influenzate da processi di competizioni forzati e cannibalistici, sull’onda del mito del sacrificio e della meritocrazia: se ce la fai, se un vincente; se non ce la fai, sei un perdente. Una visione miope che alimenta anche il mondo dei podcast. Tanto che, da un sondaggio del Financial Times del 2021, è emerso che le nuove generazioni sono sfiduciate. Non è un caso.
Una sfiducia che possiamo riscontrare, appunto, anche nelle piccole dimensioni, come appunto iniziare un progetto dedicato ai podcast. Questa sfiducia è latente e lampante in ogni ambito, figlia di una società che pretende che ogni persona sia realizzata e inserita già a partire dai 20 anni, nonostante le prospettive di vita non siano allettanti. E nel mondo digitale ciò si traduce nell’esigenza sociale (e purtroppo anche lavorativa) di essere già conformati a certi cliché, di avere il successo in tasca e di essere in grado di creare una comunità da migliaia di follower.
Un fenomeno che ha già interessato ad esempio le radio, quando alcune aziende decisero di scommettere anche sugli influencer o su chi avesse avuto successo con i social media (i cui risultati però non sembrano abbiano portato picchi di giovamento in termini di fatturato). Una scelta che, contestualmente, ha prodotto una guerra tra poveri, dove chi non aveva quello spazio online non veniva giudicato come uno speaker radiofonico capace. E ora una dinamica molto simile accade anche coi podcast: perché se è vero che oggi questo strumento è alla portata di tutti, è altrettanto vero che, con il passare degli anni, a emergere a livello nazionale sono personalità o brand noti già al grande pubblico.
E ognuno di noi, nel proprio piccolo, a questo punto si chiede che senso ha realizzare uno show, un progetto podcast, se c’è già chi ha creato quella determinata idea, se di fronte a noi abbiamo colossi della comunicazione o personalità già note in ambito nazionale. A cosa serve realizzare tutto ciò se non abbiamo un numero impressionante di follower o una risonanza mediatica online? Sensazioni, emozioni e turbamenti collettivi, spesso nascosti, che hanno l’esigenza di emergere: perché il mito della perfezione, il mito della crescita esponenziale del proprio pubblico, come di un qualcosa creato con le sole forze, è falso.
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Alcuni consigli per superare la paura di fare un podcast
Quante volte abbiamo cercato online articoli per imbatterci in consigli e suggerimenti tecnici? Per scoprire che le informazioni date dal guru della comunicazione sono estremamente basilari? A volte la paura di cui tutti parlano non è meramente tecnica, ma intima e relazionabile. La verità è che ognuno di noi nella vita, almeno una volta, si è sentito così: perso, spaesato, incline all’insicurezza. E non c’è nulla di sbagliato in tutto ciò, visto i tempi che viviamo.
Ciò però non deve limitare la tua creatività e la tua voglia di fare. Al di là di tutti gli aspetti tecnici che prima o poi dovrai conoscere, è necessario lavorare su alcuni pensieri che la tua mente crea come pretesto per non realizzare ciò che desideri. Insomma, eccoti qualche suggerimento che potrebbe fare al caso tuo:
- Non credere di essere in ritardo in base alla tua età: una buona idea è tale che tu abbia 20 o 60 anni. Ma non potrai mai saperlo se non rischi;
- Ricordati di sbagliare, ricordati che farai tanti errori: se qualcuno ti verrà a dire di avercela fatta senza il minimo errore, allontanati subito perché non potrà insegnarti nulla;
- Realizza uno show in primis per te stesso, e non tenendo in considerazione l’idea di piacere gli altri. Certo, ogni show deve tenere analizzare il pubblico di riferimento, ma la tua identità deve svilupparsi in maniera autonoma, e non per trovare forzatamente un pubblico a cui piacere;
- Le buone idee non nascono improvvisamente, ma con il tempo: datti il tempo di pensare e riflettere su cosa vuoi fare, sui mezzi a tua disposizione;
- Non guardare gli altri: è inutile, ognuno ha il proprio percorso e deve seguire la propria strada, evitando di emulare o fissare le storie altrui. Concentrati su te stesso;
- Nessuno di questi consigli ti assicurerà il successo o la notorietà, ma ti permetterà di essere ciò che vuoi essere, anche quando realizzi un podcast. Il bello di lavorare con la voce è che i prodotti creati in laboratorio si notano, mentre quelli dove c’è passione e sentimento sono i più apprezzati. Scegli tu da che parte stare.
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